SYN Synthesis, vol. 31, no. 1, e151, febrero-julio 2024. ISSN 1851-779X
Universidad Nacional de La Plata
Facultad de Humanidades y Ciencias de la Educación
Centro de Estudios Helénicos

Dosier: Gestualidad en el teatro griego antiguo.
Los gestos y el cuerpo en el texto y en la escena

Il “silenzio eloquente” di Filomela nel Tereo di Sofocle (e nel romanzo di Achille Tazio)

Giuseppe Zanetto

Università degli Studi di Milano, Italia
Cita recomendada: Zanetto, G. (2024). Il “silenzio eloquente” di Filomela nel Tereo di Sofocle (e nel romanzo di Achille Tazio). Synthesis, 31(1), e151. https://doi.org/10.24215/1851779Xe151

Sommario: Nel V libro del suo romanzo, Achille Tazio descrive dettagliatamente un quadro che rappresenta il mito di Procne, Filomela e Tereo. Molti studiosi hanno ipotizzato un possibile rapporto con il Tereo di Sofocle, il dramma che nell’antichità ebbe importanza fondamentale per la conoscenza della vicenda. Il presente contributo ridiscute l’intero problema, focalizzandosi soprattutto su due punti. 1) L’ekphrasis di Achille Tazio dà una rappresentazione molto vivida della scena del riconoscimento: con la sua enfasi sull’azione agita, come se i personaggi fossero impegnati in una performance, il dettato del testo evoca chiaramente un contesto teatrale. 2) Negli anni di Sofocle si può ritenere che gli Ateniesi collegassero il mito di Procne e Filomela non solo con l’immagine dell’uccisione di Iti e del banchetto antropofagico (temi molto praticati dai ceramografi), ma anche con la scena del “peplo parlante”, che era riprodotta nelle metope del Partenone. Questa era probabilmente la “scena madre” del Tereo di Sofocle, un drammaturgo molto sensibile alle suggestioni iconografiche. Achille Tazio, che aveva accesso al testo completo del dramma sofocleo, compose la sua ekphrasis avendo negli occhi questa scena.

Parole Chiave: Intertestualità e intervisualità, Achille Tazio, Tereo di Sofocle, Iconografia e tragedia attica.

The “Eloquent Silence” in Sophocles Tereus (and in Achilles Tatius’ Novel)

Abstract: In book 5 of his novel, Achilles Tatius describes at length a painting that represents the myth of Procne, Philomela and Tereus. A connection with Sophocles’ Tereus, the most influential treatment of the myth in the antiquity, has been proposed by many scholars. In this contribution I provide a re-discussion of the whole passage, with a view to establishing its dependence on the Sophoclean drama. My analysis focuses on two points. 1) Achilles’ ekphrasis offers a vivid depiction of the revelation scene: with its emphasis on actual action, as if the characters were performing onstage, the phrasing of the passage strongly evokes a theatrical context. 2) By the age of Sophocles the Athenians would have connected the myth of Procne and Philomela not only with images of Itys’ killing and with the anthropophagic banquet (which was popular with vase painters), but also with the scene of the “speaking” peplos, which was depicted in the Parthenon’s marble decoration. This was probably the “defining scene” in the Tereus of Sophocles, a dramatist who was extremely sensitive to iconographic suggestions. Achilles Tatius, who had access to Sophocles’ original text, composed his account of the myth with this scene in mind.

Keywords: Intertextuality and Intervisuality, Achilles Tatius, Sophocles’ Tereus, Iconography and Attic Tragedy.

È ormai ben chiaro agli studiosi che le tragedie attiche del V secolo a.C. “dialogano”, oltre che con la memoria letteraria, con la suggestione visiva esercitata dai vari media “produttori di immagini”, in prima istanza la scultura e la ceramografia. Il visual si rivela sempre più come una categoria fondamentale dell’ideazione artistica, e un terreno d’incontro dei diversi linguaggi espressivi: è in virtù di questa condivisone che idee, simboli, metafore possono migrare da un tessuto testuale a un sistema di forme, facendosi di volta in volta parola, figura, suono.1 In questo contributo mi propongo di applicare i metodi dell’intertestualità e dell’intervisualità per tracciare una connessione tra un’ekphrasis contenuta nel romanzo di Achille Tazio e il Tereo di Sofocle, e di ricondurre il dramma sofocleo al visual dell’epoca in cui fu composto.

Il Tereo fu rappresentato forse nel 431 a.C.2 (ossia, nello stesso concorso della Medea). Nella versione standard del mito, il re di Tracia Tereo sposa Procne, figlia del re di Atene Pandione, e la porta a casa sua. La coppia ha un figlio, chiamato Iti. Procne, presa dalla nostalgia di casa, chiede al marito di poter rivedere la sorella minore Filomela, facendola venire in Tracia. Tereo acconsente: parte per Atene e ne torna in compagnia della cognata. Ma durante il viaggio le fa violenza e, per impedirle di denunciare l’accaduto, le mozza la lingua. Filomela però, arrivata in Tracia, fa sapere ogni cosa a Procne per mezzo di un tessuto su cui è ricamato il racconto dello stupro. Le sorelle decidono di vendicarsi; uccidono il piccolo Iti e ne imbandiscono le carni a Tereo. Quando questi scopre la verità, si lancia sulle due donne, che fuggono. Intervengono gli dèi che trasformano Tereo in upupa, Procne in usignolo e Filomela in rondine.

La conoscenza di questo mito era affidata nell’antichità soprattutto alla drammatizzazione sofoclea,3 oltre che alla tradizione iconografica.4 Non siamo in condizione di ricostruire nel dettaglio le singole scene della tragedia, ma un papiro di Ossirinco pubblicato nel 1974 ce ne restituisce, con ogni probabilità, l’hypothesis.5 Eccone il testo, seguito da una possibile traduzione italiana:6

Τηρεύς· [ἡ ὑ]π̣ό̣θεσις
Π]ανδίων ὁ τῶν ʼΑθηναίων δυνάστης,
ἔ]χων θυγατέρας Πρόκνην καὶ Φιλο‐
μ]ήλαν, τὴν πρεσβυτέραν
Πρ]όκνην Τηρεῖ γάμωι ἔζευξεν [τ]ῶι
τῶ]ν Θραικῶν βασιλεῖ, ὃ̣ς ἔσχεν ἐξ
αὐ]τῆς υἱὸν προσαγορεύσας
῎Ιτυ̣ν· χρόνου δὲ διελθόντος καὶ
βουλομένης τῆς Πρόκνης θεά‐
σασθαι τὴν ἀδελφήν, ἠξίωσε τὸν
Τηρέα πορεύσασθαι εἰς̣ ʼΑθήνας
ἄξειν· ὁ δὲ παραγενόμενος εἰς
ʼΑθήνας καὶ ἐπ̣[ ̣ ̣ ̣ ̣ ̣] ̣θεὶς ὑπ̣ὸ
τοῦ Πανδίονος [τὴν πα]ρ̣θένον καὶ
μεσοπορήσας [ἠράσθ]η τῆς παι‐
δός· ὁ δὲ τὰ πισ[τὰ οὐ φ]υ̣λάξας
διεπαρθένευ[σεν· εὐλ]αβούμε‐
νος δὲ μὴ τῆι ἀ̣[δελφῆι μηνύσῆι
ἐγλωσσοτόμη[σε τὴν παῖδα·
παραγενάμενος [δὲ εἰς τὴν
Θράικην καὶ τῆς Φ[ιλομήλας οὐ
δυναμένης [ἐκλαλεῖν τὴν
συμφορὰν δι’ ὕφο[υς ἐμήνυσε·
ἐπιγνοῦσα δὲ ἡ Πρ[όκνη τὴν ἀλή‐
θειαν ζηλοτυπ[ίαι τῆι ἐσχάτῆι]
οἰστρηθεῖσα καὶ[ ca. 7
νη υ̣ ̣ερεινοις λα[βοῦσα τὸν
῎Ιτυν ἐσφαγίασε [καὶ καθεψήσα‐
σα παρέθηκε [τῶι Τηρεῖ· ὁ δὲ τὴν
βορὰν ἀγνοῶν [ἔφαγεν· αἱ δὲ φυγα‐
δευθεῖσαι ἐγέ[νοντο ἡ μὲν
ἀηδὼν ἡ δὲ χε̣[λιδών, ἔποψ
δὲ ὁ Τηρεύς[

Hypothesis del Tereo

Pandione, signore di Atene, avendo due figlie, Procne e Filomela, unì in matrimonio la maggiore, Procne, a Tereo re di Tracia, che ebbe da lei un figlio e lo chiamo lti. Col passar del tempo, poiché Procne voleva rivedere la sorella, chiese a Tereo di andare ad Atene e portargliela. Tereo andò ad Atene e, (ricevuta in affidamento) da Pandione la fanciulla, nel viaggio di ritorno s’invaghì della ragazza: tradendo la fiducia, la sverginò e, per essere certo che non lo rivelasse alla sorella, tagliò la lingua alla ragazza. Dopo l’arrivo in Tracia, Filomela, che non poteva raccontare la sua sventura, (la rivelò) tramite un tessuto. Saputa la verità Procne, impazzita per la gelosia e […], prese Iti, lo sgozzò, ne cucinò le carni e le servì in tavola a Tereo. Lui, senza rendersene conto, mangiò quel cibo. Le donne fuggendo divennero l’una usignolo e l’altra rondine, e Tereo (upupa).

Il riassunto contenuto nell’hypothesis ci fornisce indicazioni preziosissime. Non precisa però come avvenisse la rivelazione: se cioè Filomela avesse affidato a qualcuno il tessuto ricamato, perché lo consegnasse a Procne, oppure glielo mostrasse direttamente, in una drammatica scena di agnizione. Nel primo caso, si può anche immaginare che il ricamo fosse un messaggio scritto, fatto di parole. Se si pensa invece a un incontro tra le sorelle, è senz’altro preferibile l’ipotesi di un “racconto” per immagini.7

Questa seconda possibilità, peraltro, appare di gran lunga la più probabile. Negli altri drammi in cui avviene un riconoscimento tra fratelli, i due dialogano a stretto contatto fisico e l’agnizione è l’esito della loro conversazione. Così accade tra Oreste e Elettra nell’Elettra di Sofocle e di Euripide e nelle Coefore di Eschilo, tra Oreste e Ifigenia nell’Ifigenia in Tauride di Euripide.8 È difficile credere che Sofocle abbia rinunciato a sfruttare l’efficacia teatrale di una scena in cui una muta Filomela “racconta” la sua storia con la “voce silenziosa” del peplo ricamato, mentre Procne è sopraffatta dall’emozione. Per lei la rivelazione è doppia: si rende conto di avere davanti a sé la sorellina tanto desiderata, che credeva lontana,9 e apprende la novità sconvolgente dello stupro. Possiamo immaginare che all’inizio della scena Filomela non risponda alle domande della sorella: tace perché la mutilazione le impedisce di parlare, ma tace anche perché prova vergogna per la violenza subita; poi la ragazza mostra la veste ricamata e a questo punto si avvia l’anagnorismòs.

È una ricostruzione ipotetica, naturalmente; da qualche anno però un nuovo papiro ci fornisce qualche elemento di certezza in più: si tratta di P.Oxy. LXXXII 5292,10 che va a integrare il già noto fr. Radt 583. Ecco il testo combinato dei due frammenti, seguito da una possibile traduzione italiana:11

Sofocle, Tereo fr. 583 Radt + P.Oxy. 5292

(Πρόκνη)            νῦν δ’ οὐδέν εἰμι χωρίς. ἀλλὰ πολλάκις
                            ἔβλεψα ταύτῃ τὴν γυναικείαν φύϲιν,
                            ὡς οὐδέν ἐσμεν. αἳ νέαι μὲν ἐν πατρὸς
                            ἥδιστον, οἶμαι, ζῶμεν ἀνθρώπων βίον·
                            τερπνῶς γὰρ ἀεὶ παῖδας ἁνοία τρέφει.
                            ὅταν δ’ ἐς ἥβην ἐξικώμεθ’ ἔμφρονες,
                            ὠθούμεθ’ ἔξω καὶ διεμπολώμεθα
                            θεῶν πατρῴων τῶν τε φυσάντων ἄπο,
                            αἱ μὲν ξένουϲ πρὸς ἄνδρας, αἱ δὲ
                            βαρβάρους,
                            αἱ δ’ εἰς ἀήθη δώμαθ’, αἱ δ’ ἐπίρροθα.
                            καὶ ταῦτ’, ἐπειδὰν εὐφρόνη ζεύξῃ μία,
                            χρεὼν ἐπαινεῖν καὶ δοκεῖν καλῶς ἔχειν.
                            νόμῳ μὲν [
                            εἰ δ’ ἐκ τοιου[
                            ἴδοιμι και[
                            τὸ γὰρ ποθ [

Χο(ρός)               ἀλλ’ εὖ τελ[
                            χρηστὴν φ[

Ποιμ(ήν)              δέσποινα [ ] [
                            θέλων τι[

(Πρόκνη)             οὐκουν δ [
                             λόγων με[

(Ποιμήν)             ὅρκον γαρ [
                            φράσειν α[

(Πρόκνη)             λέξασα [
                            κοινον [

(Ποιμήν)             εἷρπον μ[
                            ἀλλ’ ἐξ ἄγρα[ς
                            ὃς ἧμιν ερ [
                            στείχων δ[
                            ἔνθεν χοαι [
                            ἔϲτην ὑπο [
                            τεραμν’ ὑπ [
                               ] παρ [

PROCNE Ora io è come se non fossi niente. Spesso mi è capitato di pensare questo di noi donne, che non siamo niente. Da bambine, nella casa del padre, viviamo una vita felice: l’inconsapevolezza infatti fa crescere i ragazzi nella spensieratezza. Ma quando cresciamo e cominciamo a capire, siamo vendute e mandate via, lontano dai nostri dèi patri e dai genitori: alcune sono date a mariti stranieri, altre a barbari, altre a case strane o persino orribili. E dopo che una sola notte ci ha aggiogato, dobbiamo lodare quel che ci è toccato e dire che tutto va bene. Alla norma (bisogna obbedire?) (…) vedrei (…).

CORO (Speriamo che tutto) finisca bene. (Ma vedo arrivare un uomo che porta forse) una buona notizia.

PASTORE Signora, (sono venuto qui) volendo (comunicarti) qualcosa …

PROCNE (Ma devo credere alle tue) parole?

PASTORE Sì, certo, perché ti giuro (che dirò solo la verità).

PROCNE Parlando (mi libererai dall’inquietudine …) comune (…).

PASTORE Stavo camminando, (di ritorno non dal pascolo) ma da una caccia; (e vidi un uomo) che ci (riferì cose tremende). Procedendo (…) libagioni (…) io mi fermai (…).

Siamo in uno dei primi episodi, forse il primo, successivi alla parodo (il Coro infatti è già in scena), e il desolato monologo di Procne, che lamenta la tristezza della condizione femminile,12 è interrotto dall’arrivo di un Pastore, latore di notizie. Segue il dialogo tra il nuovo arrivato e Procne: ne abbiamo solo le prime battute, piuttosto frammentarie, che ci consentono però di formulare qualche ragionevole congettura. L’impegno giurato a dire la verità (indirettamente sollecitato da Procne), insolito in questo tipo di situazioni,13 sembra preludere a una rivelazione sconvolgente, o almeno inquietante. Le parole del Pastore confermano questa impressione: riferisce infatti di un incontro fatto in campagna, di ritorno dalla caccia, un incontro evidentemente foriero di importanti novità. L’ipotesi più verisimile è che l’uomo abbia saputo della presenza di Filomela, mutilata e chiusa in una capanna o in altro luogo di prigionia.14 È molto improbabile che l’abbia riconosciuta, o che qualcuno dei suoi compagni l’abbia riconosciuta; ma ha comunque identificato nella ragazza una straniera di nobile condizione, ed è corso dalla regina per dargliene notizia.15

Se questa ricostruzione coglie nel segno, la reazione di Procne non poteva che essere una: l’ordine di condurre subito in sua presenza la straniera. Arrivava così in scena Filomela e aveva inizio l’episodio chiave della tragedia, l’incontro tra le sorelle con il reciproco riconoscimento, il racconto dello stupro e l’esplosione di irrefrenabili passioni.16

Fin qui abbiamo formulato una serie di ipotesi: non arbitrarie, perché basate sui frammenti e sulle testimonianze in nostro possesso, ma pur sempre congetturali. Gli strumenti dell’intertestualità e dell’intervisualità, opportunamente usati, possono forse permetterci di aggiungere altri elementi e di consolidare, e ampliare, le conclusioni a cui siamo pervenuti.

Tra gli autori antichi che ci testimoniano il mito di Tereo e Procne, un posto di rilievo spetta ad Achille Tazio. La vicenda è il tema di una lunga e articolata ekphrasis all’inizio del quinto libro del romanzo. I due protagonisti sono ad Alessandria, dopo un viaggio avventuroso; un giorno, mentre camminano verso il porto, l’attenzione di Clitofonte è attirata da un quadro esposto nell’atelier di un pittore; attraverso lo sguardo del narratore, il lettore è informato sul contenuto e l’aspetto del dipinto, che viene descritto nel dettaglio.

Achille Tazio 5.3.4-8

μεταστραφεὶς οὖν (ἔτυχον γὰρ παρεστὼς ἐργαστηρίῳ ζωγράφου) γραφὴν ὁρῶ κειμένην, ἥτις ὑπῃνίττετο προσόμοιον· Φιλομήλας γὰρ εἶχε φθορὰν καὶ τὴν βίαν Τηρέως καὶ τῆς γλώττης τὴν τομήν. ἦν δὲ ὁλόκληρον τῇ γραφῇ τὸ διήγημα τοῦ δράματος, ὁ πέπλος, ὁ Τηρεύς, ἡ τράπεζα. τὸν πέπλον ἡπλωμένον εἱστήκει κρατοῦσα θεράπαινα· Φιλομήλα παρειστήκει καὶ ἐπετίθει τῷ πέπλῳ τὸν δάκτυλον καὶ ἐδείκνυε τῶν ὑφασμάτων τὰς γραφάς· ἡ Πρόκνη πρὸς τὴν δεῖξιν ἐνενεύκει καὶ δριμὺ ἔβλεπε καὶ ὠργίζετο τῇ γραφῇ· Θρᾲξ ὁ Τηρεὺς ἐνύφαντο Φιλομήλᾳ παλαίων πάλην Ἀφροδίσιον. ἐσπάρακτο τὰς κόμας ἡ γυνή, τὸ ζῶσμα ἐλέλυτο, τὸν χιτῶνα κατέρρηκτο, ἡμίγυμνος τὸ στέρνον ἦν, τὴν δεξιὰν ἐπὶ τοὺς ὀφθαλμοὺς ἤρειδε τοῦ Τηρέως, τῇ λαιᾷ τὰ διερρωγότα τοῦ χιτῶνος ἐπὶ τοὺς μαζοὺς ἔκλειεν. <ἐν> ἀγκάλαις εἶχε τὴν Φιλομήλαν ὁ Τηρεύς, ἕλκων πρὸς ἑαυτὸν ὡς ἐνῆν τὸ σῶμα καὶ σφίγγων ἐν χρῷ τὴν συμπλοκήν. ὧδε μὲν τὴν τοῦ πέπλου γραφὴν ὕφηνεν ὁ ζωγράφος. τὸ δὲ λοιπὸν τῆς εἰκόνος, αἱ γυναῖκες ἐν κανῷ τὰ λείψανα τοῦ δείπνου τῷ Τηρεῖ δεικνύουσι, κεφαλὴν παιδίου καὶ χεῖρας· γελῶσι δὲ ἅμα καὶ φοβοῦνται. ἀναπηδῶν ἐκ τῆς κλίνης ὁ Τηρεὺς ἐγέγραπτο, καὶ ἕλκων τὸ ξίφος ἐπὶ τὰς γυναῖκας τὸ σκέλος ἤρειδεν ἐπὶ τὴν τράπεζαν· ἡ δὲ οὔτε ἕστηκεν οὔτε πέπτωκεν, ἀλλ’ ἐδείκνυε γραφὴν μέλλοντος πτώματος.

Mi trovavo per caso davanti allo studio di un pittore. Voltatomi, vidi lì un quadro che conteneva allusioni a un fatto simile; tema del dipinto era lo stupro di Filomela, la violenza di Tereo e il taglio della lingua. Il dramma vi era rappresentato in ogni sua parte: il peplo, Tereo, la mensa. Una schiava, in piedi, teneva il peplo spiegato. Accanto a lei, Filomela indicava puntando il dito i disegni del ricamo. Procne guardava e annuiva, lanciando sguardi torvi e adirati per quanto vedeva: vi era ricamato il trace Tereo mentre lottava per congiungersi con Filomela. La donna aveva i capelli discinti, la cintura sciolta, la veste lacera. Il petto era mezzo nudo; aveva la mano destra piantata sugli occhi di Tereo, e con la sinistra cercava di chiudere sul seno i brandelli della veste. Tereo teneva Filomela tra le braccia, attirandone il corpo il più vicino possibile al suo, in uno stretto abbraccio a contatto con la sua pelle. Così il pittore aveva rappresentato il disegno ricamato sul peplo. Nel resto del quadro, le donne mostravano a Tereo in una cesta i resti della cena, la testa e le mani del bambino, con un’espressione ilare e insieme terrorizzata. Tereo era dipinto nell’atto di balzare dal letto: brandendo la spada contro le donne, appoggiava la gamba alla tavola, che non stava dritta né era caduta per terra, ma sembrava dover cadere da un momento all’altro.17

Il dipinto illustra due momenti della storia. La prima scena vede la presenza di tre donne: una schiava e le due sorelle; sono in piedi, a breve distanza l’una dall’altra. L’ancella regge con le mani il peplo ricamato e lo tiene dispiegato, Filomela punta il dito sui vari elementi del disegno, mentre Procne segue attentamente con lo sguardo il racconto per immagini della sorella, in preda a stupore e rabbia crescenti. La seconda scena, ancora a tre, si riferisce al momento finale, l’orrido banchetto: le due donne mostrano a Tereo i miseri resti del bimbo e il Trace, che capisce di avere consumato le carni del figlio, si avventa contro di loro, balzando su dal letto tricliniare.

La descrizione insiste sulle immagini intessute nel peplo. C’è quindi un gioco di specchi riflessi:18 un quadro riprodotto nel quadro, e un’ekphrasis interna incastonata nell’ekphrasis esterna. Ma questo dipinto di secondo livello, dove è mostrato con dovizia di particolari lo stupro di Filomela, non è un puro espediente grafico, inteso ad aprire una finestra su un momento della vicenda che precede nel tempo la scena della rivelazione. Al contrario, la presenza del peplo ha un ruolo decisivo nel rapporto tra le due sorelle: con la forza visiva del suo apparato pittorico, il peplo scandisce il loro comportamento; la scena è dominata dalla comunicazione silenziosa che erompe dal tessuto “parlante”.

Il brano è un esempio straordinario di scrittura visualizzante. Sappiamo che l’interesse per il dominio della vista (intesa come atto del vedere e come spettacolo che si offre allo sguardo) è una caratteristica del romanzo di Achille Tazio.19 Il racconto è in larga misura affidato a ciò che i personaggi vedono e alle loro reazioni alle immagini trasmesse dagli occhi; e i lettori sono incoraggiati a “vedere” a loro volta, attraverso la fascinazione della scrittura, le scene osservate dai protagonisti.20

Nell’ekphrasis di Procne e Tereo, il narratore Clitofonte vede (e descrive) un quadro “dentro” il quale un altro dipinto è guardato (da Procne, ma anche da Filomela) con coinvolgimento totale. Il lettore è chiamato a “vedere” il quadro con gli occhi di Clitofonte, ma anche a condividere l’esperienza visiva ed emotiva di Procne.21 L’intero passo gioca sull’ambivalenza di γραφή, che significa “pittura” ma anche “scrittura”. È una γραφή il quadro dipinto dall’artista di Alessandria; ma è una γραφή anche il ricamo “parlante”. Filomela “mima” il gesto del pittore, perché “dipinge” sulla stoffa la scena dello stupro; ma l’artista a sua volta “mima” la tessistrice, perché riproduce nel quadro il ricamo del peplo.22 Il romanziere, per parte sua, “mima” entrambi, perché la sua ekphrasis “dipinge” con la scrittura sia il quadro che il ricamo.

Alla metafora che sovrappone scrittura e pittura (la prima è una pittura fatta di parole, la seconda una scrittura fatta di immagini)23 si accompagna quella della tessitura come “figura” della composizione letteraria. Filomela racconta, quasi fosse un cantore, usando l’opera del telaio al posto delle parole. Anche questa è un’immagine tradizionale, sfruttata da Pindaro e dalla lirica.24 L’esempio più famoso è però l’episodio del III canto dell’Iliade (vv. 125-128) in cui Elena (“doppio” di Omero) tesse le vicende della guerra (“Tesseva una grande tela, doppia, di porpora, e ricamava le molte prove che i Teucri domatori di cavalli e gli Achei chitoni di bronzo subivano per lei sotto la forza di Ares”).25

L’esasperata presenza dell’elemento visivo chiama in causa la categoria dell’intervisualità. Viene spontaneo chiedersi se Achille Tazio descriva un quadro realmente esistente, da lui visto ad Alessandria;26 o se l’ekphrasis si ispiri, comunque, a una linea figurativa nota al romanziere e al suo pubblico. In effetti, il mito di Tereo e Procne ha dietro di sé una lunga tradizione iconografica, puntualmente ricostruita dagli studiosi.27 Si tratta soprattutto di vasi attici di età arcaica e classica, oltre a rilievi e opere scultoree (tra queste il gruppo marmoreo dedicato sull’Acropoli, attribuito ad Alcamene e conservato in frammenti, che rappresentava Procne e Iti).28 Bisogna però osservare che i momenti del mito illustrati dagli artisti sono l’uccisione di Iti ad opera delle due donne, il banchetto antropofagico di Tereo e l’inseguimento di Procne e Filomela da parte del re. L’episodio centrale della vicenda, ossia la rivelazione attraverso la testimonianza del peplo “parlante”, non è attestato né nei vasi né nei rilievi; e neppure abbiamo notizia diretta di quadri che avessero questo soggetto.

Peraltro, l’idea di un “racconto” intessuto su un indumento faceva certamente parte dell’immaginario greco, e in particolare ateniese. Il peplo che ogni anno veniva offerto ad Atena durante la processione delle Panatenee era ricamato con scene tratte dalla Gigantomachia.29 Il fregio del Partenone ce ne dà una chiara rappresentazione. La scena V 31-35 del lato est corrisponde al momento apicale della cerimonia: la consegna solenne del manufatto (vedi Fig. 1). L’identificazione delle figure è controversa: forse le due ragazze 31 e 32 sono le arrephoroi, responsabili della produzione della veste; non c’è dubbio, invece, che il tessuto, parzialmente dispiegato, retto dalle figure 34 e 35 sia il nuovo peplo della dea.30

La scena del fregio è un prezioso riferimento per l’interpretazione delle metope 19 e 20 del lato sud, che potrebbero essere di capitale importanza per la ricostruzione del Tereo sofocleo. Come è ben noto, il fianco meridionale del Partenone fu gravemente danneggiato dall’esplosione causata da un colpo di cannone nel 1687 durante l’assedio di Francesco Morosini.31 Le metope 13 – 25 andarono distrutte, e per molto tempo le si poté conoscere solo grazie ai disegni tracciati da Jacques Carrey qualche anno prima (e conservati ora al Museo del Louvre).32

I disegni di Carrey costituiscono, naturalmente, una testimonianza utilissima, ma non sono sempre del tutto affidabili. In particolare, la riproduzione della metopa 20 contiene un’evidente imprecisione:33 la figura femminile sulla sinistra, stante, regge nella mano non un rotolo, come appare nel disegno, bensì un lembo di stoffa (vedi Fig. 2). Lo dimostra uno dei frammenti sopravvissuti alla distruzione, il fr. Acr. 1118 (vedi Fig. 3), che preserva il braccio destro e la mano destra.34 Dal frammento risulta chiaro che il pollice affonda nella superficie dell’oggetto impugnato: e questo è compatibile solo con un materiale morbido e cedevole, come la stoffa di un abito.35 La medesima posizione delle dita ritorna nella figura 35 del fregio.36

La donna che occupa il lato sinistro della metopa 20 (vedi Fig. 4) è rivolta verso le due figure femminili che popolano la metopa 19. Di quella a sinistra si conservano solo la testa e una porzione delle gambe (vedi Fig. 5); ma il disegno di Carrey la mostra intenta a guardare con grande emozione la donna sulla destra, che gesticola in modo vivace. L’interpretazione della scena è stata oggetto di un lungo dibattito, e sono state proposte identificazioni diverse.37 Peraltro, un’indicazione decisiva sembra venire proprio dal fr. Acr. 1118, che suggerisce il dispiegamento di un peplo:38 è questo, con ogni probabilità, il gesto che suscita le reazioni delle due donne ritratte nella metopa 19. Le metope 19 e 20 sono dunque da leggere in continuità, come le due porzioni di una singola sequenza narrativa: la vicinanza e il reciproco orientamento delle figure sembrano elementi probanti.

Se consideriamo anche che le metope 13 – 21 del lato sud erano, con ogni probabilità, tematicamente legate, e ispirate a antichi miti attici,39 la scena rappresentata nelle metope 19 e 20 non può essere che la rivelazione attraverso la “voce della spola”. La figura stante sul margine sinistro della metopa 20 è la schiava che regge in mano il peplo rivelatore; Filomela (la donna sul lato destro della metopa 19) indica col dito il peplo mentre “racconta”, percorrendo le immagini, la sua orribile storia, mentre Procne (la figura di sinistra della stessa metopa) “ascolta” la narrazione, in preda a emozioni violente.40

Questa è esattamente la versione che emerge dal quadro descritto da Clitofonte. D’altra parte, l’ekphrasis messa in bocca al protagonista non esaurisce la trattazione del mito. Poco più avanti, il romanziere torna sulla vicenda di Tereo e Procne, questa volta nella forma di un commento al quadro. Accade infatti che Leucippe, curiosa di sapere il significato delle scene dipinte dal pittore, chieda al suo amato di spiegarle la storia. Questo offre a Clitofonte l’occasione per riraccontare il mito, in forma abbreviata e questa volta nella prospettiva di un commentatore esterno.41 Il nuovo racconto enfatizza l’abilità di Filomela che, nonostante la mutilazione inflittale, trova il modo di “parlare” alla sorella con la voce del telaio.

Achille Tazio 5.5.2-6

Τηρεὺς ὁ ἀνήρ· Πρόκνη Τηρέως γυνή. βαρβάροις δέ, ὡς ἔοικεν, οὐχ ἱκανὴ πρὸς Ἀφροδίτην μία γυνή, μάλισθ’ ὅταν αὐτῷ καιρὸς διδῷ πρὸς ὕβριν τρυφᾶν. καιρὸς οὖν γίνεται τῷ Θρᾳκὶ τούτῳ χρήσασθαι τῇ φύσει Πρόκνης ἡ φιλοστοργία· πέμπει γὰρ ἐπὶ τὴν ἀδελφὴν τὸν ἄνδρα τὸν Τηρέα. ὁ δὲ ἀπῄει μὲν ἔτι Πρόκνης ἀνήρ, ἀναστρέφει δὲ Φιλομήλας ἐραστής, καὶ κατὰ τὴν ὁδὸν ἄλλην αὑτῷ ποιεῖται τὴν Φιλομήλαν Πρόκνην. τὴν γλῶτταν τῆς Φιλομήλας φοβεῖται, καὶ ἕδνα τῶν γάμων αὐτῇ δίδωσι μηκέτι λαλεῖν καὶ κείρει τῆς φωνῆς τὸ ἄνθος. ἀλλὰ πλέον ἤνυσεν οὐδέν· ἡ γὰρ Φιλομήλας τέχνη σιωπῶσαν εὕρηκε φωνήν. ὑφαίνει γὰρ πέπλον ἄγγελον καὶ τὸ δρᾶμα πλέκει ταῖς κρόκαις, καὶ μιμεῖται τὴν γλῶτταν ἡ χείρ, καὶ Πρόκνης τοῖς ὀφθαλμοῖς τὰ τῶν ὤτων μηνύει καὶ πρὸς αὐτὴν ἃ πέπονθε τῇ κερκίδι λαλεῖ. ἡ Πρόκνη τὴν βίαν ἀκούει παρὰ τοῦ πέπλου καὶ ἀμύνασθαι καθ’ ὑπερβολὴν ζητεῖ τὸν ἄνδρα.

L’uomo si chiamava Tereo, e Procne era sua moglie. A quanto pare, per i barbari una sola donna non è sufficiente a soddisfare il desiderio sessuale, soprattutto quando hanno l’opportunità di abbandonarsi al loro istinto di violenza. A quel Trace, dunque, l’occasione per assecondare la sua natura la fornì l’affetto familiare di Procne. La donna mandò suo marito Tereo dalla sorella Filomela; costui quando partì era ancora marito di Procne, ma quando tornò era l’amante di Filomela, e durante quel viaggio fece di Filomela un’altra Procne. Allora ebbe paura della lingua di Filomela, e come regalo di nozze le donò il silenzio, recidendo il fiore della sua voce. Ma non gli servì a nulla: l’abilità di Filomela trovò una voce silenziosa. Come suo messaggero tessé un peplo e intrecciò il suo dramma nei fili: la mano imitava la lingua rivelando agli occhi di Procne ciò che avrebbe dovuto udire, e raccontando con la spola la sua sofferenza. Dal peplo Procne seppe dello stupro e concepì una vendetta esagerata contro suo marito.

In questo passo le metafore, i giochi di parole, le sinestesie già presenti nell’ekphrasis sono riproposte, con un’enfasi retorica ancor più accentuata. Degne di nota sono anche le formulazioni che insistono sulla nozione paradossale di “voce silente” o “tessuto eloquente”, perché sembrano puntare, anche sul piano formale, al testo del Tereo di Sofocle. In particolare la frase ἃ πέπονθε τῇ κερκίδι λαλεῖ riecheggia quasi verbatim il fr. 595 Radt κερκίδος φωνή.42 Nel fr. 586 Radt σπεύδουσαν αὐτὴν ἐν ποικίλῳ φάρει l’aggettivo ποικίλος si riferisce, con ogni evidenza, alle immagini multicolori intessute nel peplo da Filomela, secondo la descrizione che ne dà il romanziere.43

Cerchiamo di trarre delle conclusioni. Che il trattamento del mito in Achille Tazio dipenda da Sofocle, sembra molto probabile; tanto più se si considera che l’ekphrasis, in particolare nella sezione in cui è descritto l’incontro tra le sorelle, visualizza i personaggi in piena azione, come se fossero impegnati in una performance. Un modello teatrale è l’ovvio referente: l’intero passo può essere definito una “foto di scena” scattata durante una rappresentazione del Tereo. Anche la formulazione ὑφαίνει […] πέπλον ἄγγελον è un “puntatore” indirizzato sul mondo della tragedia attica, dove il messaggero è una presenza standard, usata ogni volta che lo sviluppo della trama richiede un trasferimento di informazioni dentro lo spazio scenico. In questo caso il messaggero è il peplo: Filomela, incapace di pronunciare una sua rhesis, produce un manufatto che funziona da informatore surrogato. Il lessico teatrale torna anche nella frase τὸ δρᾶμα πλέκει ταῖς κρόκαις: Filomela intreccia la tela come un drammaturgo intreccia i fili del suo dramma.44

Una conoscenza diretta del Tereo da parte di Achille Tazio è stata dimostrata, in modo molto convincente, da Vayos Liapis in un ampio studio dedicato a questo tema.45 Liapis analizza capillarmente il dettato dell’ekphrasis e vi riconosce citazioni, o quasi citazioni, dal testo dei frammenti della tragedia che ci sono pervenuti.46 D’altra parte, che del Tereo ancora esistessero copie ad Alessandria nel II-III sec. d.C., è suggerito dalla storia dei papiri sofoclei:47 non stupisce, quindi, che il romanziere avesse diretto accesso ai drammi ora perduti.48

Una volta appurata, o comunque accettata, l’imitatio sofoclea in Achille Tazio, dobbiamo tornare al nostro punto di partenza e all’influenza che il visual diffuso ad Atene negli anni di Pericle poté esercitare sulla composizione del Tereo. Le immagini, abbiamo visto, stimolano pensieri e associazioni, facendosi modelli di poiesi artistica nei media comunicativi più diversi. Le metope del Partenone, come del resto tutti i monumenti dell’Acropoli, erano parte di un programma iconografico inteso a suscitare ben precise reazioni: un programma che, con l’evocazione delle antiche leggende attiche, voleva ravvivare l’idea dell’autoctonia e rinforzare il sentimento di una orgogliosa appartenenza.49

La sensibilità di Sofocle al “clima visuale” della polis è testimoniata, in modo persino clamoroso, dal caso dell’Aiace. In questo dramma il suicidio in scena del protagonista – un unicum nell’intero corpus tragico pervenuto – si conforma a uno schema iconografico tipicamente attico,50 testimoniato già negli anni centrali del VI secolo a.C. La famosa anfora a figure nere di Exechias, databile al 545-530 a.C.,51 corrisponde con stupefacente fedeltà alla messinscena adottata dal tragediografo. Se il vaso non precedesse di un secolo la rappresentazione della tragedia, si sarebbe tentati di guardare alla pittura di Exechias come a una sorta di “istantanea” scattata durante la performance.52

Le metope del Partenone sono state datate, sulla base di criteri stilistici, agli anni compresi tra il 447 e il 442 a.C. Un terminus ante quem per la loro posa in opera è il 438 a.C., anno in cui fu dedicata la statua criselefantina di Atena nella cella del tempio: a quella data il tetto era certamente completato, e la decorazione scultorea interamente montata.53 Dunque, quando Sofocle concepì il suo Tereo, gli Ateniesi avevano già negli occhi, scolpita nel marmo pentelico, la scena dell’incontro tra le sorelle e del drammatico racconto dello stupro, attraverso la voce del “peplo eloquente”. La vicenda di Procne e Filomela, un capitolo non secondario della storia sacra del popolo autoctono, era ormai fissata in quel muto, drammatico, colloquio. Il pubblico che assisté alla rappresentazione del dramma non fu quindi troppo sorpreso di rivedere quella stessa scena, trasferita dalla rigidità della pietra alla fisicità dell’interpretazione attorale.

Si delinea, in definitiva, una situazione curiosa. Possiamo controllare l’iconografia dell’incontro tra le Pandionidi nella sua prima codificazione (le metope 19 e 20 del lato sud del Partenone) e nel suo punto di arrivo (il “quadro” descritto da Clitofonte in Achille Tazio). Il Tereo sta, con ogni probabilità, nel mezzo: Sofocle riprodusse nella sua sceneggiatura lo schema messo a punto dallo scultore, e con il testo scritto del dramma ispirò l’imitatio del romanziere.

Apparato iconografico

Fig. 1
Fregio est del Partenone, figure 31-35 (la cosiddetta “scena del peplo”)
Fregio est del Partenone, figure 31-35 (la cosiddetta “scena del peplo”)

Fig. 2
I disegni di Carrey delle metope 19 e 20 del lato sud del Partenone
I disegni di Carrey delle metope 19 e 20 del lato sud del Partenone

Fig. 3
Il frammento Acr. 1118
Il frammento Acr. 1118

Fig. 4
La metopa 20 del lato sud del Partenone
La metopa 20 del lato sud del Partenone

Fig. 5

La metopa 19 del lato sud del Partenone

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Nota

1 Per una definizione di visual si veda, per esempio, Bierl (2023).
2 Avezzù (2003, p. 52). Il problema della datazione del Tereo si è riaperto con la pubblicazione del P. Oxy. LXXVI 5093 (Colomo, 2011, pp. 107-108): l’autore (anonimo) di questo curioso testo dice che dopo il “fiasco” della prima Medea Euripide ne avrebbe allestito una seconda versione (quella a noi pervenuta), rappresentata nello stesso anno in cui andò in scena anche il Tereo sofocleo.
3 Liapis (2006, p. 227, nota 36).
4 I principali studi sulla tradizione iconografica del mito di Tereo, Procne e Filomela sono Touloupa (1994), March (2000) e (2003), Chazalon (2003), Chazalon e Wilgaux (2008/9), Chalazon (2012), Bennett (2022).
5 P.Oxy. XLII 3013, pubblicato da Parsons (1974); vedi anche Casanova (2003, pp. 61-62).
6 Testo come in Parson (1974); la traduzione italiana è mia.
7 Su questo punto il dibattito tra gli studiosi è stato, ed è, molto vivace. L’ipotesi del peplo “scritto” con lettere dell’alfabeto e parole andrebbe a sostegno di una interpretazione “antropologica” della vicenda; la capacità di leggere e scrivere differenzierebbe le due ateniesi, rappresentanti di una cultura più avanzata, da Tereo e dagli altri Traci, condannati all’analfabetismo dal loro statuto di barbari: cf. Milo (2008, p. 64). Filomela quindi potrebbe mandare il suo messaggio alla sorella senza destare sospetti: nessuno sarebbe in grado di capire gli strani segni ricamati sul tessuto. Il peplo istoriato con immagini, d’altra parte, riproporrebbe il motivo, largamente attestato, della tessitrice che “racconta” una storia con un abile intreccio di colori e figure. Una ricapitolazione del dibattito, con ricca bibliografia, in Dova (2020, pp. 77-80).
8 Aristotele in Poetica 1454b 30–36, discutendo le varie forme di agnizione usate dai tragediografi, definisce in particolare il riconoscimento affidato a “invenzioni” del poeta, e cita quello di Ifigenia da parte di Oreste (nell’Ifigenia in Tauride), grazie alla lettera, e quello del Tereo di Sofocle, prodotto dalla “voce della spola” (ἡ τῆς κερκίδος φωνή). L’accostamento dei due episodi potrebbe essere un argomento a favore del peplo ricamato con parole: alla lettera presentata a Oreste da Ifigenia corrisponderebbe l’epistola su tela recapitata, o consegnata, da Filomela a Procne. Ma il senso dell’accostamento è un altro: l’elemento comune non è il medium della comunicazione, ma il fatto che entrambi i meccanismi sono forme di agnizione costruite dal poeta e “estranee all’arte”. Inoltre, nell’Ifigenia la lettera non è stata scritta dalla ragazza, ma dettata a un servo: cf. Dova (2020, p. 76). D’altra parte, se la lettera è una prova sufficiente per Oreste per riconoscere Ifigenia, la ragazza invece chiede al fratello un’altra prova, che consiste nella memoria comune di un peplo con raffigurata la storia di Tieste e Atreo, ricamato da Ifigenia quando ancora si trovava ad Argo. Quindi, sia pure in forma diversa (il peplo in questo caso non è presente in scena), il motivo del tessuto trapunto di immagini ritorna anche in questa tragedia.
9 Tereo, tornando al palazzo, avrà dovuto giustificare l’assenza di Filomela. Avrà detto forse che la ragazza era malata e non in condizione di affrontare il viaggio, o che nel frattempo era andata sposa in un paese lontano. Quel che è certo, è che all’inizio del dramma Filomela è nascosta da qualche parte, forse chiusa in una capanna nel bosco, come in alcune fonti più tarde: cf. Casanova (2003, p. 65); Coo (2013, p. 357); Finglass (2016, pp. 70-72).
10 Pubblicato da Slattery (2016) e interamente ridiscusso da Finglass (2016).
11 Testo come in Slattery (2016) e Finglass (2016); la traduzione italiana è mia.
12 Da cosa è motivato questo stato d’animo negativo? La spiegazione più probabile è che Procne abbia da poco saputo (da Tereo sesso?) che la tanto attesa Filomela non è arrivata al palazzo: cf. Finglass (2016, p. 71).
13 Finglass (2016, p. 69).
14 È la versione seguita, per esempio, da Ovidio in Metamorfosi 6.424-674.
15 Cf. Sommerstein apud Finglass (2016, p. 72): “The shepherd has been sent on ahead by his haunting companions to bring Procne the news, and they are following at a more convenient pace, bringing with them the woman they have rescued”.
16 Il parallelismo prospettato da Aristotele tra Ifigenia in Tauride e Tereo (vedi nota 8) può essere un sostegno all’ipotesi che la consegna del peplo da Filomela a Procne avvenisse in scena (come la consegna della lettera a Oreste).
17 Le traduzioni italiani dei passi di Achille Tazio sono tratte da Ciccolella (1999).
18 Zanetto (2022, p. 360).
19 Cf. per esempio Goldhill (1995), Morales (2004), Bartsch (2014).
20 Zanetto (2022, p. 355). La potenza della vista si applica, in particolare, al sentimento d’amore; cf. Goldhill (2001, p. 168): “From the lovers’ first glances at each other to the famous scenes of the forced observation of the beloved’s apparent disembowelling, the erotic narrative traces a particular engagement with the look”.
21 Bartsch (2014, p. 111): “Thus the readers of detailed descriptions of spectacles are invited to be «spectators» of the spectacle themselves, sharing this with the characters in the text”.
22 Il vero autore del disegno sul peplo è Filomela o il pittore di Alessandria? Il romanziere sembra compiacersi di questa aporia quando scrive τὴν τοῦ πέπλου γραφὴν ὕφηνεν ὁ ζωγράφος, dove ὑφαίνω è detto del pittore e γράφω della tessitrice.
23 In Plutarco, De gloria Athen. 346f la pittura è una “poesia silenziosa” e la poesia una “pittura parlante” (ma la stessa assimilazione è anticipata in Platone, Fedro 275d); cf. Letoublon (1993, p. 34 e p. 158); Bierl (2023, p. 33).
24 Pindaro, Nemea IV 44-45 ἐξύφαινε, γλυκεῖα, καὶ τόδ’ αὐτίκα, φόρμιγξ, Λυδίᾳ σὺν ἁρμονίᾳ μέλος (“Dolce cetra, intessi ora con lidia armonia, intessi ora quest’ode”).
25 Kennedy (1986, p. 5).
26 La cosa in sé non stupirebbe: in 3.6-8 Clitofonte racconta di avere visto a Pelusio un quadro del pittore Evante con le scene gemelle delle liberazioni di Prometeo e di Andromeda, che sono oggetto di un’estesa ekphrasis; gli studiosi sono inclini a pensare che il quadro esistesse realmente: cf. per esempio D’Alconzio (2014).
27 Vedi nota 4.
28 Una lista completa in Bennett (2022, pp. 66-67). Chazalon (2003, pp. 128-129) propone di identificare in Tereo l’uomo barbuto che si alza da una κλίνη con in mano una spada, dipinto su una coppa attica a figure rosse databile al 490 a.C. circa (Museo Archeologico Etrusco 80565).
29 Hǻland (2004, pp. 155-161); Barringer (2005, p. 170).
30 Brommer (1977, p. 177); Dörig (1978, p. 232); Barber (1994, pp. 361-363).
31 Mommsen (1941).
32 Bowie e Thimme (1971).
33 Mantis (1997, p. 75).
34 Gasparro e Moret (2005, p. 6 fig. 4).
35 Becatti (1951, p. 38).
36 Dörig (1978, p. 225).
37 Un riassunto delle varie posizioni in Barringer (2005, p. 175 nota 63).
38 Brommer (1967, p. 206); Gasparro e Moret (2005, p. 24).
39 Dörig (1978, p. 231).
40 Questa interpretazione, che riconosce una continuità di racconto tra le due metope e attribuisce un ruolo centrale al peplo tenuto dispiegato dall’ancella, corrisponde nella sostanza alla lettura proposta da Gasparro e Moret (2005, p. 5).
41 Bartsch (2014, p. 72): “The painting has already been described in a detailed description that, like the novel’s others, is carefully free of interpretive material. What Leucippe asks, however, is ‘τί βούλεται τῆς εἰκόνος ὁ μῦθος;’ – ‘What does the story of the painting mean?’ In other words, a request is being made for ἐξήγησις, not διήγησις. Clitophon responds with a second description in Philostratus’s best manner, replete with mythological material not visible in the actual painting and adorned with pathos, paradox, and metaphor.”
42 La cui fonte è Aristotele, Poetica 1454b30 ἐν τῷ Σοφοκλέους Τηρεῖ ἡ τῆς κερκίδος φωνή.
43 Liapis (2006, p. 235) osserva che ποικίλος è quasi termine tecnico per indicare l’aspetto multicolore di un manufatto; la sua presenza nel frammento del Tereo è quindi un’altra prova che il messaggio di Filomela non era fatto di parole ma di immagini.
44 Il lessico e l’immaginario teatrali sono largamente usati dai romanzieri, in una serie di metafore che vogliono esprimere la spettacolarità di scene e situazioni, in piena coerenza con l’interesse per la visualità e la visualizzazione: cf. Fusillo (1989, pp. 35-36), Bartsch (2014, pp. 109-143).
45 Liapis (2006), integrato da Liapis (2008).
46 Per esempio, la formulazione ἕδνα τῶν γάμων αὐτῇ δίδωσι μηκέτι λαλεῖν evoca il tema, tipicamente tragico, del “dono perverso” e, se si considera il lessico e la sequenza metrico-prosodica, sembra contenere vari elementi del testo originale: Liapis (2006, pp. 222-226).
47 Daris (2003, p. 86).
48 Liapis (2006, p. 236, nota 88).
49 Il ruolo svolto in questo programma dal gruppo scultoreo di Alcamene, con le figure di Procne e Iti, è sottolineato da Giudice (2008, p. 70). Barringer (2005, pp. 168-169), partendo proprio dal monumento di Alcamene, ricostruisce un percorso ideale che accompagnava il visitatore dell’Acropoli lungo una galleria di immagini evocatrici degli antichi re, tra i quali Pandione e le Pandionidi; in particolare chi partecipasse alla processione delle Panatenee “would have filed past buildings and images immediately connected to the family of Prokne and Itys” (p. 169).
50 Catoni (2013, pp. 19-20) spiega che la rappresentazione dei momenti immediatamente precedenti il suicidio (con l’eroe che pianta la spada nel terreno o pronuncia, inginocchiato accanto alla spada, l’ultima preghiera) costituisce uno schema iconografico limitato alla produzione ceramica attica, senza riscontro negli schemata sviluppati in ambiente corinzio, peloponnesiaco, magnogreco o etrusco.
51 Boulogne, Musée Communale 558; cf. Touchefeu (1981, p. 329 nr. 105); riproduzione in Most e Ozbek (2013, p. 335 fig. 12).
52 Si riconduce allo stesso visual anche la lekythos attica a figure rosse, attribuita al Pittore di Alkimachos e databile al 460 a.C. circa (Basel, Antikenmuseum): Aiace è inginocchiato accanto alla spada conficcata nel terreno, e leva le mani al cielo per pronunciare l’ultima preghiera; cf. Touchefeu (1981, p. 329 nr. 104).
53 Schwab (2005, p. 160).

Recepción: 26 Noviembre 2023

Aprobación: 16 Enero 2024

Publicación: 01 Junio 2024

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